Su chi grava la responsabilità nel caso in cui il minore abbia commesso un’infrazione stradale? A tale interrogativo ha fornito risposta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 19619 del 17 giugno 2022.
Gli Ermellini hanno stabilito che in caso di violazione amministrativa da parte di un minore di anni diciotto “la sanzione va irrogata ai soggetti tenuti alla sorveglianza dell’incapace, che rispondono a titolo personale e diretto per la trasgressione della norma”.
Difatti, l’art. 2 della Legge 689/1981 sancisce che “Non può essere assoggettato a sanzione amministrativa chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i diciotto anni e che della violazione risponde chi era tenuto alla sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto”.
Altresì, il Tribunale Supremo ha specificato che il predetto articolo trova applicazione anche per gli illeciti amministrativi del Codice della Strada; di conseguenza, qualora un minore commetta un’infrazione stradale, di quest’ultima risponde il soggetto che era tenuto alla sorveglianza dell’incapace. In altre parole, in queste circostanze, il verbale dovrà essere notificato ai genitori in quanto esercenti la potestà genitoriale, salvo che provino di non aver potuto impedire il fatto.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Ai fini dell’affidamento condiviso è necessario che entrambi i genitori vivano nella stessa città del minore?
A questo interrogativo ha dato risposta la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15815 del 17 maggio 2022.
Come è noto, ad introdurre l’istituto dell’affidamento condiviso è stata la legge 54/2006, la quale ha dato vita al cosiddetto “principio della bigenitorialità”, il quale sancisce il diritto del minore a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori anche qualora questi ultimi siano separati o divorziati.
L'affidamento condiviso garantisce al bambino:
• l'esercizio effettivo della responsabilità genitoriale da parte di entrambi i genitori;
• la partecipazione di entrambi i genitori alla sua cura ed educazione;
• la necessità di prendere insieme le decisioni di maggiore interesse per il minore.
Secondo i giudici di piazza Cavour, “In tema di affidamento dei figli …, alla regola dell’affidamento condiviso dei figli può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore”, con la duplice conseguenza che l’eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell’altro genitore, e che l’affidamento condiviso non può ragionevolmente ritenersi precluso dalla oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, potendo detta distanza incidere soltanto sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascun genitore”.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
La Suprema Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 3159 del 9 febbraio 2021, si è pronunciata su quello che è il ruolo dei minori nel procedimento relativo al loro affidamento e collocamento presso il padre o la madre.
La vicenda in esame traeva origine dalla decisione della Corte d’Appello con la quale il giudice di merito disponeva il collocamento di una minore presso la madre e l'affidamento ai Servizi Sociali, a cui rimetteva il compito di favorire gli incontri tra la stessa e il padre.
Quest’ultimo si rivolgeva alla Suprema Corte, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 337 octies e 315 bis c.c., comma 3, dell'art. 336 bis c.p.c., dell’articolo 38 disp. att. c.c. e della normativa internazionale in materia di audizione dei minori, in relazione all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il ricorrente asseriva che la Corte d’Appello aveva collocato la minore presso la madre in virtù della relazione dei Servizi Sociali depositata “in extremis dal difensore della madre” non provvedendo ad ascoltare la figlia, adempimento necessario a pena di nullità, secondo normativa nazionale ed internazionale (articolo 12 Convenzione di New York sui diritti del fanciullo; articolo 6 Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con L. n. 77 del 2003), nelle procedure giudiziarie inerenti i minori, con conseguente violazione del principio del contraddittorio e del giusto processo laddove, come nel caso in esame, il mancato ascolto non sia sorretto da espressa motivazione sull'assenza di discernimento del minore che ne possa giustificare l'omissione.
Gli Ermellini stabilivano che i minori, nei procedimenti giudiziari che li riguardano, non possono essere considerati parti formali del giudizio, in quanto la legittimazione processuale non risulta attribuita loro da alcuna norma di legge; sono invece parti sostanziali, poiché portatori di interessi comunque diversi, quando non contrapposti, rispetto ai propri genitori.
In tali giudizi la tutela del minore si realizza attraverso la previsione che il minore stesso deve essere ascoltato, pertanto costituisce violazione del principio del contraddittorio e dei diritti del minore stesso il mancato ascolto di quest’ultimo, qualora non sia sorretto da un'espressa motivazione sull'assenza di discernimento, tale da giustificarne l'omissione.
Infine, l'audizione del minore ultradodicenne o di età inferiore Legge n. 184 del 1983, ex articolo 15, come modificato dalla Legge n. 149 del 2001, è un atto processuale del giudice, il quale, nell’interesse del minore, può stabilire modalità particolari per il suo espletamento, comprendenti anche la delega specifica ad esperti, ma allo stesso non è equiparabile l'assunzione del contributo del minore in maniera “indiretta”, attraverso le relazioni che gli operatori dei servizi sociali svolgono nell'ambito della loro ordinaria attività.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Con la sentenza n. 31737 la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di violenza sessuale, affermando che integra tale reato palpeggiare il gluteo di una minore in maniera rapida senza che la stessa possa reagire e difendersi.
Nel caso in esame, la Corte d’Appello accoglieva il gravame del Pubblico Ministero e condannava l'imputato per il reato di violenza sessuale di cui all'art. 609 bis, ultimo comma c.p. per aver palpeggiato in maniera repentina il gluteo di una minorenne, contro la volontà di quest’ultima.
La vicenda giungeva così in Cassazione, davanti alla quale, tra i vari motivi sollevati, l’imputato contestava l'erronea applicazione dell'art. 609 bis c.p., in quanto la condotta era stata qualificata come atto sessuale nonostante la mancanza di prova circa la parte del corpo toccata e l'assenza del fine di libidine. A differenza di quanto fatto dal Giudice di primo grado, la Corte territoriale non aveva valutato il contesto in cui il contatto era avvenuto e la dinamica intersoggettiva della vicenda che erano state riferite dall'imputato in una memoria difensiva.
Il Tribunale Supremo dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
In particolare, gli Ermellini affermavano che “ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, per attribuire rilevanza a quegli atti che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente definibili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo, anche con finalità del tutto diverse, il giudice deve effettuare una valutazione che tenga conto della condotta nel suo complesso, del contesto sociale e culturale in cui l'azione è stata realizzata, della sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, del contesto relazionale intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale”.
Affinché si parli di consumazione del reato è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa (zone genitali o comunque erogene), mentre è indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all'azione dell'aggressore o che quest'ultimo consegua la soddisfazione erotica.
Inoltre “nel caso di specie, per un verso, la parte del corpo attinta dal palpamento è certamente erogena, e, comunque, non sessualmente indifferente; per altro verso, la dinamica descritta nella sentenza impugnata restituisce l'evidenza di una chiara intrusione nella sfera sessuale di una ragazzina sconosciuta, avendo la Corte territoriale del tutto logicamente rilevato l'assoluta inconsistenza, ed incompatibilità con le risultanze istruttorie, della alternativa spiegazione data dall'imputato nella memoria difensiva prodotta al primo giudice e da quest'ultimo invece, illogicamente, sia pur in modo dubitativo, condivisa”.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Tutela del minore e mandato d’arresto europeo
In tema di mandato d’arresto europeo non può essere rifiutata la consegna allo Stato richiedente, solo perché la persona alla quale lo stesso si riferisce sia madre di prole con lei convivente, di età inferiore ai tre anni
L’autorizzazione alla consegna della madre
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Messina aveva disposto la consegna di una donna alle competenti autorità giudiziarie della Svezia, in considerazione del M.A.E. emesso dalla Corte distrettuale di Stoccolma nell’ambito di un procedimento penale pendente che vedeva coinvolta la donna per reati tributari commessi in qualità di legale rappresentante di due società con sede in Svezia.
La Corte territoriale italiana aveva disposto la consegna della donna non avendo ritenuto fondate le ragioni avanzate dalla difesa in relazione, tra l’altro, alla sua condizione di madre di una bambina di età inferiore ai tre anni.
Avverso tale decisione veniva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, evidenziando, tra i diversi motivi d’impugnazione, la ritenuta violazione dell’“art. 1 comma 3 della Decisione quadro 2002/584/GAI, correlato all’art. 48 Carta di Nizza, ed all’art. 2 Cost. in relazione all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE) ed all’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), per effetto della mancata considerazione della condizione di madre di una bambina di due anni”.
A tal proposito, la difesa aveva evidenziato che è “onere dell’autorità giudiziaria dello Stato richiesto verificare se l’esecuzione del mandato di arresto europeo possa essere lesivo delle garanzie costituzionali e dei diritti fondamentali garantiti dalle convenzioni sovranazionali”. In ragione di tale onere, spiega la difesa, la Corte aveva errato nel non aver compiuto alcun vaglio circa il danno che sarebbe derivato a carico della figlia della ricorrente dall’esecuzione del mandato, visto il suo radicamento in Italia, nonché le relazioni create con le insegnanti e con i compagni di classe.
Cassazione: l’onore probatorio spetta alla parte
La Suprema Corte, con sentenza n. 51798/2023, ha ritenuto il ricorso non fondato.
Per quanto in particolare attiene al motivo di ricorso oggetto del presente esame, la Corte ha ritenuto non fondata la ritenuta violazione normativa incentrata sulla qualità della ricorrente quale madre di bambina di due anni, essendo intervenuta l’abrogazione dell’art. 18, lett. p), della legge n. 69/2005.
Sul punto, osserva la Corte, l’art. 2 della legge n. 69/2005 non consente l’introduzione di motivi di rifiuto alla consegna diversi ed ulteriori da quelli previsti dalla legge quadro di derivazione europea, così come anche affermato dalla Corte Costituzionale nell’ordinanza n. 216/2021 che ha messo in rilievo che, l’esigenza di garantire l’uniformità e l’effettività della normativa a livello europeo, non consente alle autorità giudiziarie degli Stati richiesti di rifiutare la consegna al di fuori dei casi espressamente previsti dalla normativa sul M.A.E. In questo senso, prosegue la Suprema Corte “il d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10 ha operato una generalizzata soppressione di tutte le disposizioni interne difformi dalla disciplina europea al fine di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato di arresto europeo”.
Inoltre, la soppressione del sopracitato art. 18, lett. p), secondo quanto riferisce il Giudice di legittimità “si giustifica sulla base della presunzione che negli Stati UE la tutela delle madri di figli di tenera età è assicurata nei sistemi processuali-penali in modo coerente ai principi di diritto affermati anche dalla convenzione europea”.
Quanto detto è anche confermato sul piano normativo, dalla direttiva (UE) 2016/800 che tutela, a livello europeo, il superiore interesse del minore indagato o imputato e che impone agli Stati membri il rispetto delle garanzie procedurali nei loro confronti, conformemente a quanto previsto dalla CDFUE; ne consegue che, se tali garanzie sono previste ed assicurate da tutti gli Stati che hanno firmato la CDFUE, nei confronti dei minori indagati ed imputati, allora le stesse sono tanto più applicate in favore dei figli minorenni della persona di cui è stata richiesta la consegna. Tale presunzione “costituisce il fondamento dell’emissione del mandato di arresto europeo, ed è onere della parte allegare elementi concreti di valutazione che possano suffragarne la violazione da parte dell’ordinamento dello Stato emittente, che non può essere perciò dedotta in modo soltanto ipotetico e astratto”.
La Corte conclude quindi il proprio esame sul punto ribadendo che è “onere della parte allegare circostanza concrete che dimostrino che nello Stato richiedente vi siano sistemiche carenze strutturali che non consentono di tutelare i diritti del minore, e solo se tali carenze risultino dimostrate si giustifica il rifiuto della consegna”, questo in quanto “il rifiuto di eseguire la consegna è concepito come una eccezione che deve essere interpretata restrittivamente”